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Chiesa di
S. Abbondio

La chiesa di Sant’Abbondio a Boalzo si presenta in dignitose vesti tardo-barocche realizzate nel corso del Settecento con la facciata, recante la data 1771, chiusa in alto da un timpano triangolare con finestrella a lobi in forma di croce, tutto in essenziali linee architettoniche prive di ornamento. Unica concessione è il bel portale in pietra verde del Quattrocento decorato da elegante motivo cordonato lungo gli stipiti e l’arcata e dal trigramma di san Bernardino al centro dell’architrave, cui si affianca nella lunetta l’immagine del Redentore realizzata dal pittore Brocco nel 1964. Più mosso strutturalmente, grazie alle sporgenze dal corpo centrale della cappella laterale, del presbiterio e della sacrestia, risulta il fianco meridionale, che permette di cogliere in un solo colpo d’occhio le dimensioni del tempio. Base romanica, con traccia di bifore ora tamponate, mostra il campanile posto sul lato a monte, ristrutturato secondo il gusto barocco con un doppio ordine di monofore e la consueta lanterna a pianta poligonale con relativo cupolino.
Del primitivo tempio, la chiesa conserva l’orientamento rigorosamente rivolto verso l’est equinoziale e il perimetro, come conferma la superficie affrescata venuta alla luce sul muro destro della navata.

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La storia

La sua fondazione risale sicuramente all’epoca feudale in seguito all’instaurarsi della mensa vescovile di Como e del monastero di Sant’Abbondio nella domacultus di Boalzo - le case coloniche fortificate con relativi terreni agricoli -, beni in effetti appartenuti alla Chiesa episcopale e al monastero sopra nominato come attestano documenti del 1270-71 e del 1487.
La più antica menzione della ecclesia Sancti Abondii de Boalzio è contenuta negli atti della visita pastorale del vescovo Gerardo Landriani del 1445, la quale figura come capellania della pievana di Santa Eufemia di Teglio con proprio curato e amministratori laici - procuratores et negotiorum gestores -. Dal vescovo Feliciano Ninguarda, in visita a Boalzo il 18 ottobre 1589, apprendiamo che la chiesa era sede di autonoma parrocchia, segno evidente della prosperità del paese che annoverava – precisa il presule – oltre sessanta famiglie, di cui tre “eretiche” cioè di confessione protestante e tredici residenti nelle contrade oltre l’Adda, vale a dire Calcarola e Franchesi.
Dalla visita pastorale del suo successore - Filippo Archinti - del 1614 sappiamo che l’edificio sacro aveva una sola navata con una tribuna per i laici sulla controfacciata, tetto a capriate, pareti in parte dipinte, fonte battesimale - “vasca assai indecorosa simile a un avello”, afferma il vescovo -, campanile con due campane, sacrestia e casa parrocchiale.
Lo stato logistico era quello della chiesa medievale che ancora doveva porsi in sintonia con le norme post-tridentine, motivo per cui negli anni successivi se ne dovrà attuare la completa ristrutturazione, intervento che si trascinerà fin quasi alla metà del XVIII secolo, se nel 1744 – come ricorda il vescovo in visita pastorale - i lavori erano ancora in corso.
Questo modesto e antico edificio sacro fu al centro di un’aspra contesa tra cattolici e riformati nel 1618, nel quadro degli eventi che sfoceranno nel 1620 nei fatti di sangue del “Sacro Macello”.

L'interno della chiesa

L’altare maggiore consta di un ciborio ligneo policromo, dorato e laccato, alto m. 3, posto a forma di tempietto sulla mensa, secondo il modello secentesco che trovò grande diffusione in Valtellina e che la sostituzione con opere marmoree destinò spesso alla distruzione, come avvenne nelle chiese più importanti.
La povertà di mezzi all’inizio del XIX secolo della parrocchia di Boalzo lo preservò fortunatamente dallo smembramento e oggi resta a documento dell’abilità degli ebanisti, degli intagliatori e dei doratori del Seicento valtellinese, quale interessante opera d’arte.
Non meno importante è il profondo significato religioso di cui esso è rivestito: un vero piccolo compendio del principale mistero della fede cristiana – l’Incarnazione – sintetizzato in facile didascalia per i fedeli più semplici.
Il ciborio, tempio in miniatura a custodia dell’Eucarestia, acquista qui l’aspetto di un’arca santa elevata al Cielo con chiaro riferimento, attraverso le immagini, alla redenzione operata dal Figlio di Dio: il piccolo Gesù sulla porta del tabernacolo prossimo alla mensa, il mistero della presenza Eucaristica con l’ostensione dell’Ostia consacrata su quella soprastante e, infine, il Cristo sofferente, sormontato dal Risorto trionfante sulla sommità della cupola.

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Fanno corona, a compimento del discorso didascalico e alludendo alla Chiesa, i santi di casa: le due grandi statue di Sant’Abbondio e Sant’Antonio abate, quattro statuette in nicchie nel secondo ordine raffiguranti i Padri della Chiesa, due ai lati con Santo Stefano (a destra) e San Lorenzo (a sinistra) in quello soprastante e, infine, Santa Eufemia e una martire nelle piccole nicchie ai fianchi del Cristo sofferente e i santi Rocco e Sebastiano a lato del Risorto sull’estremità.
Arricchiscono l’opera diverse altre figure intagliate e dipinte: sei cariatidi con le mani incrociate sul petto nella fascia centrale, la quale per struttura ricorda l’ancona più che il ciborio, e otto graziosi putti-telamoni di fine esecuzione sorreggenti sulle spalle l’arca del ciborio vero e proprio. Rifacimenti e nuove dipinture non nascondono completamente l’oro, l’argento, la punzonatura e i graffiti originali di questa composita opera in cui individuiamo due distinti interventi, uno di matrice cinquecentesca nelle due parti del tempietto e l’altra di epoca più tarda nella teoria dei putti e nel Cristo sofferente. Né manca, a completamento dell’altare, un paliotto del XVIII secolo in tela dipinta con ricca decorazione floreale.
Sovrasta presbiterio e navata, dall’arco trionfale, un antico Crocifisso, particolare che contraddistingue tutte le chiese dell’antica pieve tellina.
Notiamo, nel muro a lato dell’altare, il primitivo tabernacolo, trasformato in custodia degli oli santi, con cornice in pietra e portello ornato di motivo floreale e uno scanno in noce con inginocchiatoio datato 1839 e, nella navata, il pulpito (XVII secolo) a base pentagonale di lineare disegno e privo d’ornamenti, cui fanno riscontro sul fondo un confessionale settecentesco con decorazioni a rilievo e il fonte battesimale costituito da una tazza monolitica con copertura lignea a forma di tempietto (XVII secolo).
Si apre sul lato destro della navata l’unica cappella laterale, dedicata alla Madonna, con un pregevole altare ligneo dipinto e dorato del XVII secolo. Ammiriamo stupiti la bellezza degli intagli dell’ancona, specialmente le figure dei giovani telamoni di squisita fattura reggenti la trabeazione, dalla quale manca la pala originale – un quadro raffigurante la Madonna tra i santi Carlo e Domenico – sostituito ora da uno stendardo di damasco rosso con ricami in oro e le figure dipinte della Vergine con il Bambino e i santi Abbondio e Antonio abate.
Ci accostiamo infine al ciclo di affreschi d’epoca medievale (XIV-XV secolo), venuto alla luce alcuni decenni fa lungo la parete di destra, dipinti che erano stati sottratti alla vista dagli interventi del Sei-Settecento per il loro tratto arcaico non più di gradimento e perché in parte già rovinati.
Seguiamo iniziando da sinistra la sequenza delle raffigurazioni dall’evidente tratto goticheggiante, che da anni attendono un intervento di restauro per consolidare l’intonaco dipinto che minaccia di staccarsi dall’arriccio e presenta notevole perdita di contenuto pittorico. Fortunatamente, l’importante ciclo che costituisce preziosa testimonianza della religiosità del passato, resta ancora in buona parte leggibile.
Aprono la fila appaiate in capo alla navata – una sotto e l’altra sopra – le immagini di Cristo nel sepolcro e della Madonna della Misericordia con il manto aperto in atto di protezione, sotto il quale si affollano i fedeli inginocchiati: alla destra della Vergine gli affiliati di una confraternita e alla sua sinistra la gente comune. Al di là del vano della cappella e della porta laterale, il dipinto riprende, con una imponente Madonna del latte con il Bambino al seno, assisa da regina con la corona sul capo su un alto trono gotico e la veste riccamente decorata con delicati motivi floreali. Ai lati sono altre tre figure: sulla sinistra due sante martiri, probabilmente Eufemia e Apollonia, e sant’Abbondio in panni pontificali sulla destra e infine, in quadri nuovamente sovrapposti, in alto un santo penitente, forse Antonio Abate, inginocchiato con i fianchi cinti da un fascio di foglie e, in basso, san Simonino da Trento con devoto ai piedi, il bambino che la tradizione vuole sia stato ucciso dagli Ebrei mediante la bollitura, il cui culto incontrò particolare diffusione nelle vallate alpine.

Gianluigi Garbellini
Istituto Studi Storici Valtellinesi

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