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Chiesa di
S. Maria

Abbarbicato alle falde della montagna, l’insediamento dal nome latino Ligone, toponimo che richiama alla mente la tribù dei Lingones, ma anche l’umile ligonem medievale, cioè la zappa, è uno dei più antichi di Teglio. La contrada si annuncia divisa in due nuclei, il primo stretto alla chiesa con le sue rustiche costruzioni, e il secondo, il Cuntradèl, poco più a monte, oggi totalmente rinnovato con solide case in pietra e legno, ben inserite nell’ambiente naturale.
Dà il benvenuto la chiesa di Santa Maria, un imponente edificio dall’intonaco chiaro che offre al sole di ponente la facciata a capanna, mossa da alte lesene e da grandi nicchie, perfino sproporzionata, come tutta la chiesa, se si considera la ridotta entità dell’abitato.
Attraverso il secolare passaggio dalla volta affumicata di una casa retrostante, raggiungiamo un punto di osservazione privilegiato ai piedi del campanile. Da qui, leggiamo sulla tormentata superficie della parte absidale le vicende costruttive dell’edificio sacro, la cui fondazione risale all’Alto Medioevo e probabilmente perfino ai Longobardi, devoti dell’Annunciata, titolo ufficiale di questa chiesa. Vi scopriamo infatti tracce della ricostruzione tardo-medievale con l’occhio tondo murato e il sopralzo privo d’intonaco del Seicento con la finestra serliana tamponata.

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È il campanile ad attrarre l’attenzione con la sua singolare architettura, simile a un rude torrione se non fosse per la presenza della finestrella arcuata e della bifora della cella campanaria.
A fianco della chiesa si trova l’ossario, costruito nel 1777, sulla cui facciata in alto, nel fastigio, individuiamo tra le lacune l’Assunzione della Vergine, sopra l’arcata due Angeli con le trombe del Giudizio Universale e, ai lati dell’apertura, due Scheletri, uno con le insegne regali e l’altro con la falce. Tutto affrescato è anche l’interno con l’immagine della Pietà che funge da pala, le Sante Eufemia e Lucia nei tondi a lato dell’altare e, sulla volta, tra gli Evangelisti, l’Eterno Padre.

L'interno della chiesa

L’interno in tre campate, d’impronta barocca, si presenta solenne e arioso, senza appesantimenti di sorta, ma non spoglio, grazie alle alte lesene dall’elaborato capitello corinzio e al cornicione che corre lungo tutto il perimetro associato a un fregio dipinto. Pur essendo una filiale, ci accorgiamo che la chiesa non manca di arredi di valore, segno dell’importanza a essa attribuita dai fedeli, specie nel passato, in quanto santuario mariano. Non per niente, l’antica cappella rurale originaria fu più volte ricostruita, fino agli interventi determinanti iniziati nel 1612 e ancora non completati nel 1681, allorché il vescovo Carlo Ciceri intimò di sospendere ogni lavoro. Noncuranti degli ordini del pastore diocesano, i Tellini vollero condurre a termine il loro proposito e con grande sacrificio cercarono di rendere bella e accogliente la chiesa. Il risultato è davanti ai nostri occhi.
Il presbiterio è chiuso da una solida cancellata, realizzata a Villa di Tirano nel 1739 da un fabbro di Pisogne, sul fondo del quale domina un elegante altare in marmo nero di Varenna con intarsi policromi in stile barocco-rococò, fornito dalla bottega dei Fratelli Buzzi nel 1742.
La pala raffigurante l’Annunciazione, adattata all’interno dell’ancona, proviene da un altare precedente ed è opera del tardo Cinquecento di un ignoto artista di formazione veneta. Ne ammiriamo la compostezza figurativa, la tonalità calda dei colori, l’atmosfera di sacralità che il pittore ha saputo conferire alla scena, pur con la presenza di minuti dettagli d’ambiente tra cui il cesto con il ricamo, l’ago e il filo abbandonato sulla sedia e del realistico ritratto del committente nell’angolo di sinistra.
Impreziosiscono il presbiterio gli affreschi della volta di Giuseppe Prina, dipinti nei primi anni del Settecento in riquadri sagomati su fondo giallo-oro, disposti in forma di fiore con al centro l’Incoronazione della Vergine e attorno quattro episodi della Sua vita: la Nascita, la Presentazione al Tempio, lo Sposalizio e la Fuga in Egitto, e, infine, sulla parete di sinistra l’Adorazione dei Magi. Completano il ciclo i sei profeti, con i relativi versetti biblici riferiti alla nascita del Messia, distribuiti nelle lunette, le immagini dei Santi Paolo e Antonio Abate in finte nicchie e quelle di Sant’ Andrea e San Giacomo sull’intradosso dell’arco trionfale. I colori, dove non sbiaditi dall’umidità, sono brillanti e ricordano la matrice veneta del pittore, abile anche nel disegno delle singole figure.
Due sono le cappelle laterali. Colpisce l’insistenza della decorazione di quella di sinistra, dedicata a san Giuseppe, esuberante di putti, fiori e frutti simbolici in stucco, ovali e riquadri affrescati con episodi della vita del Santo. Nella pala troviamo uno dei soggetti più diffusi a partire dal XVII secolo fino a tutto l’Ottocento, il Transito di san Giuseppe, dipinto da Giuseppe Prina nei primi decenni del Settecento al pari dei due quadri a olio alle pareti raffiguranti San Francesco Saverio orante e la Morte di san Francesco Saverio nella solitaria isola di Sanciano dell’Oceano Indiano. Nel tondo sopra l’ancona, ammiriamo l’immagine dell’Eterno Padre, attribuita a Pietro Ligari.
Nella cappella di fronte, si venera la B. V. del Carmelo, come indica la pala, probabile opera di Francesco Piatti, nella quale vediamo la Vergine con il Bambino nell’atto di consegna dello scapolare a Simone Stock. Tutte le tele, comprese quello delle Mistiche nozze di santa Caterina (sulla parete sinistra del presbiterio), della Madonna del Carmelo e dei due paliotti, sono state recentemente restaurate a cura di privati benefattori.

Non passano inosservati, oltre al pavimento a scacchiera in marmo bianco e verde, alcuni arredi di pregio come l’elaborata cancellata della cappella di San Giuseppe di mastro Angelo Balestra di Chiuro del 1714, il pulpito del 1761 (proveniente dalla chiesa di San fedele di Poggiridenti), l’acquasantiera in candido marmo elegantemente scolpita, dono nel 1720 di un cardinale della famiglia Gallio di Como, il grande armadio settecentesco in noce e la singolare piccola cantoria con l’organo portativo, collocato nella chiesa nel 1717.

Gianluigi Garbellini
Istituto Studi Storici Valtellinesi

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